Centro Gramsci di Educazione
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    SUL MATERIALISMO STORICO ORGANICO di Piero De Sanctis

    Una cosa è ormai chiara:
    il mondo d’oggi può essere descritto
    agli uomini d’oggi solo a patto
    che lo si descriva come un mondo
    che può essere cambiato.
    Bertol Brecht

    Queste brevi note sulla teoria del Materialismo storico organico nascono dall’esigenza di far conoscere ai giovani aspetti del pensiero di Gramsci volutamente messi in ombra dalla pubblicistica attuale. Ma nasce soprattutto dalla necessità di richiamare le nuove generazioni di intellettuali ed operai su alcune sue geniali intuizioni e riflessioni sullo Stato, sulla funzione degli intellettuali, sul partito della classe operaia, sulla storia e sulla scienza.

    Gramsci ha attraversato e vissuto i più grandi eventi storici del Novecento: dalla crisi dei partiti della II Internazionale alla Prima guerra mondiale, dalla Rivoluzione d’Ottobre alla fondazione della III Internazionale,  dalla costruzione dei partiti comunisti al fallimento della rivoluzione socialista in Europa occidentale, dai Grandi scioperi del Biennio rosso alla nascita del fascismo e alla clandestinità.

    Nei primi decenni del Novecento nelle università italiane pullulavano le più aberranti correnti intellettuali di origine neoidealistiche: l’esaltazione della volontà di potenza di stampo bergsoniano, il culto del superuomo, l’esasperato individualismo, l’anarcosindacalismo di Sorel, il nazionalismo, la violenza e la guerra come filosofia di vita, l’estetismo decadente di D’Annunzio. Correnti intellettuali che confluirono tutte a formare il brodo di coltura del fascismo.

    Anche Gramsci si trovò immerso in questo ambiente e, al contrario di altri, non ne fu coinvolto. Anzi il suo pensiero si formò proprio analizzando e criticando, fino alle radici, queste correnti irrazionali e antiscientifiche di moda, le quali abbandonando la strada maestra tracciata dai grandi illuministi francesi e successivamente da Marx, finirono nel migliore dei casi, nel vuoto solipsismo o in braccio alla metafisica e alla religione.

    Da questa vasta esperienza egli trasse un enorme materiale su cui riflettere e che troviamo poi sintetizzato ed esposto in tutti gli scritti, sia come insegnamento che approfondimento della teoria del socialismo scientifico. Perciò, anche se questi scritti sono stati elaborati durante la lunga e dura prigionia nelle carceri fasciste, conservano ancora tutta la loro validità in quanto analisi fatte sulla base di concrete esperienze.

    La teoria del materialismo storico, che ha avuto una importanza rivoluzionaria non solo per l’economia politica ma per tutte le scienze storiche, Marx la sintetizzò in modo ineguagliabile con le seguenti parole:« il modo di produzione della vita materiale condiziona in generale il processo sociale, politico e spirituale della vita….non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza». Essa è la stella polare che guiderà Gramsci nel corso delle sue originali ricerche. Fare politica è, per Gramsci, soprattutto lottare per trasformare il mondo,  perché solo in questa lotta gli uomini prendono coscienza critica della realtà, superando il momento passionale e occasionale, per trasformarsi in approfondita ricerca delle condizioni in cui si muovono le società umane, le classi e gli uomini.

    Il materialismo storico è per Gramsci essenzialmente unità dialettica tra struttura e sovrastruttura e il motivo fondamentale per cui il marxismo è apparso assimilabile, in alcuni suoi elementi, tanto agli idealisti quanto ai materialisti volgari, è dovuto essenzialmente «alla scissione del materialismo storico in due entità separate: da una parte la struttura economica e dall’altra la sovrastruttura. Ciò fatto diventa allora possibile prendere la struttura, ovvero il suo lato economico-empirico, ignorando il suo lato sovrastrutturale e teorico». E’ ciò che Gramsci rimprovera a Benedetto Croce quando, quest’ultimo, trasforma il materialismo storico in un canone empirico di ricerca storica, svuotandolo così del suo contenuto rivoluzionario.

    Nella polemica di Lenin contro Bukharin, circa la volgarizzazione della teoria del materialismo dialettico, accusato di non conoscere il ragionamento dialettico ma solo la logica astratta, Gramsci, nello scritto Note critiche a un “Saggio popolare di sociologia”, così si esprime:«….egli [Bukharin, ndr] realmente capitola dinanzi al senso comune e al pensiero volgare, perché non si è posto il problema nei termini teorici esatti e quindi è praticamente disarmato  e impotente. L’ambiente ineducato e rozzo ha dominato l’educatore, il volgare senso comune si è imposto alla scienza e non viceversa; se l’ambiente è l’educatore, esso deve essere educato a sua volta, ma il Saggio popolare non capisce questa dialettica rivoluzionaria…..La radice di tutti gli errori del Saggio consiste appunto in questa pretesa di dividere la filosofia della prassi in due parti: una “sociologia” e una filosofia sistematica. Scissa dalla teoria della storia e della politica, la filosofia non può essere che metafisica, mentre la grande conquista della storia del pensiero moderno, rappresentata dalla filosofia della prassi, è appunto la storicizzazione concreta della filosofia e la sua identificazione con la storia». Tutto ciò in perfetta coerenza con la III Tesi su Ludovico Feuerbach di Marx: « La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell’ambiente e dell’educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l’ambiente e che l’educatore stesso deve essere educato».

    E’ tuttavia vero che la dialettica è cosa molto ardua e difficile, in quanto il pensare dialetticamente –dice Gramsci – va contro il volgare senso comune che è dogmatico, avido di certezze perentorie ed ha la logica formale come espressione.

    La convinzione che il marxismo non si confonde e non si riduce a nessun’altra filosofia, e che tale filosofia non è solo originale in quanto supera le filosofie precedenti, è originale specialmente in quanto apre una strada completamente nuova: lo studio e le interazioni tra le diverse permanenti sovrastrutture (ne è un esempio il suo approfondimento sull’origine e sviluppo della classe degli intellettuali organici al capitalismo e sui nuovi intellettuali organici al socialismo), apportano un contributo notevole alla teoria del materialismo storico. La sua mente, insofferente alle continue oscillazioni tra il revisionismo e  l’estremismo e gli smembramenti  alle quali la teoria del materialismo storico era sottoposta (dopo la morte di Marx ed Engels e che aveva causato perniciose deviazioni), si era ormai convinta della necessità che una trattazione sistematica della teoria del materialismo storico e dialettico non potesse trascurare nessuna delle parti e dei principi che Marx ed Engels avevano portato alla luce della conoscenza. In altre parole Gramsci era del parere che la capacità di vita e sviluppo  della teoria marxista fosse condizionata dalla organica connessione delle sue parti. Ma, avverte  Gramsci, la pretesa di dedurre meccanicamente ogni fluttuazione della politica e dell’ideologia dalla relativa struttura deve essere combattuta «come infantilismo primitivo».

    Gramsci non si limita alla critica storica, ma la estende anche alla metodologia scientifica secondo le indicazioni di Marx. Nel libro primo del Capitale Marx scrive:« La tecnologia svela il comportamento attivo dell’uomo verso la natura, l’immediato processo di produzione della sua vita, e con essi anche l’immediato processo di produzione dei suoi rapporti sociali vitali e delle idee dell’intelletto che ne scaturiscono. Neppure una storia delle religioni, in qualsiasi modo eseguita, che faccia astrazione da questa base materiale, è critica. Di fatto è molto più facile trovare mediante l’analisi il nocciolo terreno delle nebulose religiose che, viceversa, dedurre dai rapporti reali di vita, che di volta in volta si presentano, le loro forme incielate. Quest’ultimo è l’unico metodo materialistico e quindi scientifico. I difetti del materialismo astrattamente modellato sulle scienze naturali, che esclude il processo storico, si vedono già nelle concezioni astratte e ideologiche dei suoi portavoce appena s’arrischiano al di là della loro specialità».

    E’ nel periodo a cavallo degli anni trenta del Novecento che Gramsci si occupa anche di scienza. Nel novembre del 1931, in occasione della pubblicazione di un articolo Scienze biologiche nel quale si sostiene, parlando di fenomeni infinitamente piccoli, che essi non si possono considerare indipendentemente dal soggetto che li osserva. In realtà l’estensore del suddetto articolo si riferisce alla scoperta, fatta nel 1927, del principio di indeterminazione di Werner Heisenberg che afferma l’impossibilità di misurare contemporaneamente con esattezza la posizione e la velocità di una particella atomica. Ma tale misura è sempre essenzialmente affetta da un certo errore. Le conseguenze filosofiche dedotte da tale principio aprì un periodo di grandi dibattiti e vivaci contrapposizioni tra il materialismo e l’idealismo concernenti i concetti di materia, oggetto fisico, causalità, ecc. Addirittura alcuni filosofi, partendo dall’impossibilità di operare una netta distinzione fra strumento di osservazione e sistema osservato, sono arrivati al punto di affermare, non solo che la nuova fisica ha carattere idealistico, ma che osservatore e strumento di osservazione creino il sistema osservato.

    E’ il periodo della cosiddetta crisi della fisica di fine secolo, scoppiata secondo molti filosofi a causa del crollo del meccanicismo classico e del materialismo volgare o metafisico, finisce con l’essere una metafora letteraria per coprire l’incapacità filosofica di prendere atto delle profonde trasformazioni provocate dalla rivoluzione scientifica novecentesca nel dominio delle teorie. In realtà è la filosofia che è in crisi per il suo rifiuto di adeguare se stessa in funzione delle scoperte scientifiche, e non viceversa, come la vulgata ideologica dei decenni successivi cercò di fare. Agli storici della scienza si chiese di fare i portatori d’acqua, i costruttori di esempi che corroborassero quel capovolgimento.

    « Se fosse vero – dice Gramsci con grande acume – che i fenomeni infinitamente piccoli in questione non si possono considerare esistenti indipendentemente dal soggetto che li osserva, essi in realtà non sarebbero “osservati”, ma “creati” e cadrebbero nello stesso dominio della pura intuizione fantastica dell’individuo. Sarebbe anche da porre la questione se lo stesso individuo può “due volte” creare (osservare) lo stesso fatto. Non si tratterebbe neppure di solipsismo ma di demiurgia o di stregoneria». Per quanto riguarda il rapporto tra scienza e filosofia aggiunge: «La scienza non si presenta come nuda nozione obiettiva mai; essa appare sempre rivestita da una filosofia e concretamente è scienza l’unione del fatto obiettivo e dell’ipotesi o di un sistema di ipotesi che superano il mero fatto obiettivo. In questo campo però è diventato relativamente facile scindere la nozione obiettiva dal sistema di ipotesi con un processo di astrazione che è insito nella stessa metodologia scientifica e appropriarsi dell’una respingendo l’altro. In tal modo una classe può appropriarsi la scienza di un’altra senza accettarne la filosofia».

    Notevoli sono le sue osservazioni circa il carattere delle verità scientifiche. Gramsci dice:« Se le verità scientifiche fossero definitive, la scienza avrebbe cessato di esistere come tale, come ricerca, come nuovi esperimenti e l’ attività scientifica si ridurrebbe a una divulgazione del già scoperto. Ciò non è vero, per fortuna della scienza. Ma se le verità scientifiche non sono neanche esse definitive e perentorie, anche la scienza è una categoria storica, è un movimento in continuo sviluppo. Solo che la scienza non pone nessuna forma di inconoscibile metafisico, ma riduce ciò che l’uomo non conosce a una empirica non conoscenza che non esclude la conoscibilità, ma la condiziona allo sviluppo degli strumenti fisici e allo sviluppo dell’intelligenza storica dei singoli scienziati».

    Dunque Gramsci era consapevole dell’enorme lavoro a cui era chiamato nel preparare i Quaderni del carcere. Si trattava di ristudiare tutta la storia, le condizioni di esistenza materiale delle diverse formazioni sociali, nel loro nascere e nel loro perire e, poi dedurre da esse le corrispondenti concezioni della politica, del diritto, della filosofia, ecc.. Ma non basta. Occorre sempre tenere presente che le forme ideali esercitano a loro volta una influenza sulla struttura. Nell’indagare questi processi Gramsci utilizza sapientemente il metodo della dialettica materialistica che Marx definì in modo magistrale nel poscritto alla seconda edizione del I volume del Capitale del 24 gennaio 1873, con le seguenti parole:« Fondamentalmente, il mio metodo è non solo differente da quello hegeliano, ma ne è anche direttamente l’opposto. Per Hegel il processo del pensiero, che egli trasforma addirittura in soggetto indipendente col nome di idea, è il demiurgo del reale, che costituisce a sua volta solo il fenomeno esterno dell’idea o processo del pensiero. Per me, viceversa, l’elemento ideale non è altro che l’elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini».

    Questa concezione della storia apriva un’epoca nuova di cui Gramsci era perfettamente consapevole e, per tutta la sua vita, fino all’ultimo giorno, dedicò se stesso a dare anima e corpo alle idee, alle intuizioni, che Marx, sinteticamente, ma ricche di contenuto, espresse in una lettera del 28 dicembre 1846 indirizzata a Vaasilevic Annekov:« Presupponga un determinato stadio di sviluppo delle capacità produttive degli uomini e Lei avrà una forma corrispondente di commercio e di consumo. Presupponga gradi determinati di sviluppo della produzione, di commercio e del consumo, e Lei avrà una forma corrispondente di ordinamento sociale, una organizzazione corrispondente della famiglia, dei ceti o delle classi, in una parola avrà una società civile corrispondente. Presupponga una tale società civile, e Lei avrà un corrispondente Stato politico, il quale non sarà che l’espressione ufficiale della società civile».

    Questo processo dialettico di sviluppo dell’unità di teoria e pratica è un divenire storico che progredisce – dice Gramsci – da una fase elementare e primitiva, fino al possesso reale e completo di una concezione del mondo coerente, scientifica e unitaria. Una coscienza, quindi, che sa di essere parte di una determinata forza dirigente prima ed egemonica poi e che coinvolge la formazione di una classe di intellettuali, senza la quale non c’è né organizzazione, né organizzatori, né dirigenti. L’ intellettuale collettivo costituisce un insieme di intellettuali organicamente legato alla classe operaia, capace di darle omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale, politico e statuale, a differenza degli intellettuali tradizionali che pensano e credono di essere autonomi e indipendenti dal gruppo sociale dominante.

    Teramo dicembre 2020

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